Uno abbastanza pazzo per capire che la vita è un viaggio spaziale

(una specie di prefazione con una dedica alla fine)

di Marco Manicardi “Many”

Quand’ero piccolo, ma piccolo piccolo, diciamo in prima media, mia mamma m’aveva regalato di sua spontanea volontà un computer: era un Olivetti PC1, un 8086 senza disco fisso, con 512Kb di RAM, lo schermo monocromatico verde e due porte per i dischetti da tre pollici e mezzo. Ero il bambino più felice della Terra. Non che immaginassi che quel computer m’avrebbe poi condizionato la vita, le passioni, le scelte e, insomma, il futuro. Ma questa è un’altra storia.
Quand’ero piccolo, ma un po’ meno piccolo, diciamo fino alla prima superiore, quando poi me ne han comprato uno più potente e a colori e col disco fisso, con quel computer lì, con l’Olivetti PC1, ci facevo di tutto; e in particolare è sul quel computer lì che ho cominciato a scrivere. Mi ricordo che avevo un dischetto, con l’etichetta “RACCONTI”, in cui raccoglievo tutto quello che scrivevo nella mia stanzetta, davanti allo schermo monocromatico verde, dove avevo anche imparato a scrivere usando quasi tutte le dita e senza guardare la tastiera, che è una cosa che è come andare in bicicletta, poi uno non si dimentica più come si fa.
Chissà dov’è andato a finire, il dischetto “RACCONTI”, anche se, comunque, nel caso in cui saltasse fuori adesso, improvvisamente, non saprei davvero come fare a leggerlo. Però di due racconti che c’eran dentro mi ricordo qualcosa, non i titoli, ma mi ricordo che erano entrambi incompiuti.
In uno si parlava di un bambino che veniva strappato alla madre subito dopo il travaglio e veniva chiuso in una stanza buia da un gruppo di ricercatori; poi questi ricercatori l’hanno sfamato e lavato fino all’adolescenza, e tutte le volte che entravano nella stanza buia in cui l’avevano chiuso, gli parlavano a caso, con delle parole che non esistono, senza senso, le prime combinazioni di suoni che passavan per la testa, tipo “asdurubala scuri scalavateri” o “sberfi maraviona patori” o “pleburi tani tuttidrugini bibbi” e così via; e il bambino, arrivato a quindici o sedici anni, si era creato un linguaggio tutto suo, nella sua testa, ed era anche riuscito a scappare non ricordo come. Poi il racconto si interrompeva lì, immagino che fosse perché non sapevo come andare avanti.
Nell’altro racconto, c’era un uomo che entrava in un bar, ordinava una bevanda dal nome strano, aveva una valigetta piena di soldi ed era incazzato nero perché l’avevano fregato in certe questioni illegali che non erano specificate perché era l’inizio del racconto e si vede che volevo tenere alta la tensione; poi l’uomo, mentre beveva la bevanda dal nome strano, guardava sempre l’orologio perché aspettava qualcuno per risolvere quelle certe questioni illegali che non avevo ancora specificato, e a un certo punto guarda il bicchiere e si accorge che sta bevendo una roba blu, che era un colore sbagliato per una bevanda del genere, e allora pensa una cosa del tipo Ma guarda te che incapaci, non sanno neanche impostare bene il colore, quando esco da questa realtà virtuale del cavolo denuncio i programmatori. Poi anche quel racconto si interrompeva, immagino che fosse perché non sapevo bene come andare avanti tenendo alta la tensione.
Dev’essere stato a quei tempi lì che ho cominciato a capire di non essere uno scrittore ma un lettore (una cosa che a dirla si fa sempre bella figura, anche se è una cosa abbastanza paracula, e infatti uno che la diceva sempre era Borges). Ci ero rimasto male, a quell’età lì, ma dopo un po’, crescendo, ci avevo fatto pace, con l’idea di non essere uno scrittore, men che meno uno scrittore di fantascienza, e infatti per questa raccolta chiamata L’ennesimo libro della fantascienza non ho scritto neanche un racconto.
Però un lettore sì, lo ero e lo sono sempre stato, e ora, in questo momento, che non son più piccolo piccolo, di fantascienza ne leggo ancora a palate, anche se a trent’anni bisogna stare attenti a dove la si dice, una cosa del genere. Ma a voi posso confessarlo: io sono un appassionato di fantascienza. E anzi, meglio: io la fantascienza la amo.
Ecco, adesso, a proposito di scrittura e di fantascienza, e anche a proposito d’amore, mi viene in mente che una volta Kurt Vonnegut, era il 1965, in una convention, si rivolse direttamente agli scrittori del genere dicendo così:

Vi amo, figli di puttana. Voi siete i soli che leggo, ormai. Voi siete i soli che parlano dei cambiamenti veramente terribili che sono in corso, voi siete i soli abbastanza pazzi per capire che la vita è un viaggio spaziale, e neppure breve: un viaggio spaziale che durerà miliardi di anni. Voi siete i soli che hanno abbastanza fegato per interessarsi veramente del futuro, per notare veramente quello che ci fanno le macchine, quello che ci fanno le guerre, quello che ci fanno le città, quello che ci fanno le idee semplici e grandi, quello che ci fanno gli equivoci tremendi, gli errori, gli incidenti e le catastrofi. Voi siete i soli abbastanza stupidi per tormentarvi al pensiero del tempo e delle distanze senza limiti, dei misteri imperituri, del fatto che stiamo decidendo proprio in questa epoca se il viaggio spaziale del prossimo miliardo di anni o giù di lì sarà il Paradiso o l’Inferno.

(da Dio la benedica, Signor Rosewater)

Ora, io penso che un buon appassionato di fantascienza, anche dopo che ha conosciuto la letteratura che chiamano alta come – chessò – I fratelli Karamazov, non possa mai e poi mai diventare un ex appassionato di fantascienza.
E quindi quest’anno, il 2012, è stato ed è ancora un anno particolarmente triste per ogni buon appassionato di fantascienza che si stia affacciando sulla metà dei trent’anni almeno. Perché quand’eravamo ragazzini, forse ancor prima di arrivare a Philip K. Dick o a Vonnegut, cioè a quegli autori che rimangono sullo scaffale del salotto anche dopo che il buon appassionato di fantascienza ha preso altre vie, altre letture, altra letteratura, ancor prima di arrivare lì, forse, c’erano per noi, sì, gli Asimov e i Clarke, ma c’era soprattutto Urania. E Urania, negli anni ’80, aveva un famoso direttore coi controcoglioni, uno abbastanza pazzo per capire che la vita è un viaggio spaziale, uno che aveva abbastanza fegato per dire che:

Basta uno sciopero aeroportuale, un ingorgo sull’autostrada, per far pronunciare da milioni di persone sbigottite la domanda Ma qui dove andremo a finire?
È l’anticamera della fantascienza.

(da I ferri del mestiere. Manuale involontario di scrittura con esercizi svolti, 2004)

Anche se lui non ne ha mai veramente scritta, di fantascienza, quel famoso direttore di Urania coi controcoglioni possiamo lo stesso, secondo me, metterlo a pieno titolo nell’olimpo degli autori di fantascienza; e ogni buon appassionato che si rispetti, e che mai e poi mai diventerà un ex appassionato, lo ha amato, a suo tempo, delle volte anche senza saperlo, e lo ricorderà, ora e sempre, con gratitudine infinita.

Quel famoso direttore di Urania è morto lunedì 16 gennaio 2012, aveva 85 anni. Oggi, che è il 19 settembre 2012, se siamo stati bravi a pubblicare questo libro in tempo, quel famoso direttore di Urania coi controcoglioni avrebbe compiuto 86 anni.
Questo libro di elettroni, che forse state leggendo da uno schermo e che magari stringete tra le mani aiutandovi con un apparecchio che fino a pochi anni fa stava solo nei libri di carta di cui eravate innamorati, questo libro elettronico intitolato L’ennesimo libro della fantascienza, è dedicato a Carlo Fruttero.

Ciao, Carlo, fai buon viaggio.
E grazie di tutto, figlio di puttana.

Carpi, 19 settembre 2012

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Marco Manicardi “Many”
Barabba – Marco Manicardi

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